Dopo l'aggressione a Berlusconi, si parla molto di oscurazione dei siti violenti.
E'il Ministro dell'Interno Maroni il principale promotore di un possibile decreto legge che mirerà ad oscurare i siti violenti o che inneggiano all'odio.
Terreno delicato, perchè si ha a che fare con la libertà di espressione e con i nuovi mezzi di comunicazione di massa, difficilmente controllabili e censurabili. Sottolinea che sarà comunque la magistratura a decidere se un sito è da oscurare.
Già in febbraio dopo l'approvazione al Senato era stato abrogato dalla Camera l'emendamento D'Alia (qui trovate il testo completo:
http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Emend&leg=16&id=392701&idoggetto=413875).
All'interno del pacchetto sicurezza (D.d.L. 733) era contenuto quest'articolo che riguardava proprio la
Repressione di attività di apologia o incitamento di associazioni criminose o di attività illecite compiuta a mezzo internet.
In pratica si dava pieno potere al Ministro dell'Interno di oscurare qualsiasi sito o blog che violasse, disubbidisse o protestasse contro una legge, anche solo ritenuta ingiusta.
Quello che si discuterà giovedì durante il Consiglio dei Ministri sarà una proposta analoga a questa, semplicemente non sarà il Ministro dell'Interno a valutare l'apolgia di reato, ma il Gip, che in base alle segnalazioni dovrebbe ordinare agli amministratori la chiusura del sito, blog o pagina. Se l'ordine non venisse rispettato si passerebbe alla sanzione.
La proposta è quella di mettere dei filtri, in modo da rendere difficoltosa la navigazione verso quei siti, gruppi o pagine. Insomma Cina docet.
Bloccare una parte di un sito, per esempio di un social network significa in qualche modo bloccare l'intero processo. Per vari membri dell'opposizione (Casini, Gentiloni, Franceschini e de Magistris) le leggi esistenti bastano a contenere la violenza su internet. Fare censura e repressione non serve a nulla, se non a limitare la libertà.
Hanno ragione i responsabili di Facebook che affermano che il loro portale sta ai contenuti devianti come una linea ferroviaria sta ai messaggi sui muri delle stazioni, verrebbe mai in mente di fermare i treni per non far leggere i graffiti? Fare guerra ai social network, a You tube e alle nuove forme di comunicazione in tempo reale, costringendo gli amministratori a controllare ogni messaggio ancor prima che venga pubblicato vorrebbe dire distruggere il sistema stesso della piazza virtuale e anche della gratuità.
E' giusto invece il sistema di segnalazione dei gruppi violenti, tramite gli utenti stessi che possono far presente agli amministratori la pericolosità di determinati contenuti che incitano all'odio o alla violenza.
Non rinunciamo alla libertà di espressione. Già adesso la rete è una miniera di informazioni che giornali e televisioni non ci danno. Se blocchiamo la rete, saremo completamente dominati solo da quello che chi governa vuole farci sapere. La democrazia è libertà d'espressione.
Pensiamo all'Iran e a come le notizie giungano al mondo esterno solo dai blog, vogliamo fare la stessa fine? o peggio?
mercoledì 16 dicembre 2009
lunedì 14 dicembre 2009
Berlusconi aggredito, il popolo si spacca
Pur non simpatizzando certo per il nostro presidente del Consiglio,
non posso che biasimare il gesto violento di Massimo Tartaglia, che l'ha colpito al volto con un souvenir del duomo di Milano.
Oggi l'Italia è in subbuglio, tra chi si fa patriota del Cavaliere e lo vuole martirizzare, come vittima di tutte le opposizioni possibili a partire da quella di Di Pietro, che nonostante abbia espresso la sua solidarietà sull'accaduto ha sottolineato che il premier istiga, e che il gesto di Tartaglia sarebbe dovuto all'esasperazione.
Tartaglia è incensurato, ma alle sue spalle ha certamente un passato di instabile salute mentale e il suo gesto è stato folle e inutile, anzi è stato sicuramente più utile ai berlusconiani che ora hanno tutto il diritto di inneggiare al loro presidente. E intanto le immagini e i video del volto sfigurato del premier fanno il giro della rete, dividendo ancora di più il popolo sulla politica.
Quello che preoccupa non è tanto il gesto di uno squilibrato, che purtroppo molti acclamano come eroe, ma la divisione netta, che sta letteralmente spaccando l'Italia. Ieri in piazza a Milano oltre ai sostenitori del Pdl c'era anche un numeroso gruppo di oppositori che gridavano "Vergogna, vergogna" e "Fuori la mafia dallo Stato". E' innegabile che una grande fetta dell'elettorato italiano non sopporti più Berlusconi e lo voglia fuori dalla politica, soprattutto dopo tutti gli eventi di quest'anno: dai processi al Lodo Alfano, dalle escort al legame con la mafia.
Purtroppo è più che logico che in un tale clima di tensione accadano gesti come questo e non è la prima volta, già nel 2004 gli avevano scagliato addosso un cavalletto. Adesso il problema non è solo la salute del presidente, ma quella dell'Italia intera.
Il nostro paese è sull'orlo del baratro, adesso sta a noi italiani decidere di affondare o provare a risollevarci, ma non certo con odio e violenza e nemmeno con il vittimismo.
La politica innanzitutto deve essere dialogo, democrazia e libertà. Ricordiamocelo sempre.
Auguro al premier una pronta guarigione, ma che la botta di ieri possa fargli capire che non si può fare il bello e il cattivo tempo, quando si hanno in mano le redini di una nazione.
non posso che biasimare il gesto violento di Massimo Tartaglia, che l'ha colpito al volto con un souvenir del duomo di Milano.
Oggi l'Italia è in subbuglio, tra chi si fa patriota del Cavaliere e lo vuole martirizzare, come vittima di tutte le opposizioni possibili a partire da quella di Di Pietro, che nonostante abbia espresso la sua solidarietà sull'accaduto ha sottolineato che il premier istiga, e che il gesto di Tartaglia sarebbe dovuto all'esasperazione.
Tartaglia è incensurato, ma alle sue spalle ha certamente un passato di instabile salute mentale e il suo gesto è stato folle e inutile, anzi è stato sicuramente più utile ai berlusconiani che ora hanno tutto il diritto di inneggiare al loro presidente. E intanto le immagini e i video del volto sfigurato del premier fanno il giro della rete, dividendo ancora di più il popolo sulla politica.
Quello che preoccupa non è tanto il gesto di uno squilibrato, che purtroppo molti acclamano come eroe, ma la divisione netta, che sta letteralmente spaccando l'Italia. Ieri in piazza a Milano oltre ai sostenitori del Pdl c'era anche un numeroso gruppo di oppositori che gridavano "Vergogna, vergogna" e "Fuori la mafia dallo Stato". E' innegabile che una grande fetta dell'elettorato italiano non sopporti più Berlusconi e lo voglia fuori dalla politica, soprattutto dopo tutti gli eventi di quest'anno: dai processi al Lodo Alfano, dalle escort al legame con la mafia.
Purtroppo è più che logico che in un tale clima di tensione accadano gesti come questo e non è la prima volta, già nel 2004 gli avevano scagliato addosso un cavalletto. Adesso il problema non è solo la salute del presidente, ma quella dell'Italia intera.
Il nostro paese è sull'orlo del baratro, adesso sta a noi italiani decidere di affondare o provare a risollevarci, ma non certo con odio e violenza e nemmeno con il vittimismo.
La politica innanzitutto deve essere dialogo, democrazia e libertà. Ricordiamocelo sempre.
Auguro al premier una pronta guarigione, ma che la botta di ieri possa fargli capire che non si può fare il bello e il cattivo tempo, quando si hanno in mano le redini di una nazione.
venerdì 11 dicembre 2009
Oggi sciopero Cgil: vecchie e nuove forme di protesta
Statali fermi per 8 ore.
3 milioni le persone interessate allo sciopero di oggi indetto dalla Cgil.
In piazza i lavoratori della scuola, università, ricerca e funzione pubblica:
dai precari della conoscenza agli impiegati negli enti locali e nella sanità, cui si aggiungeranno i numerosi cortei di studenti.
Si protesta contro il governo per chiedere il rinnovo dei contratti e la stabilizzazione della precarietà, ma ci si schiera anche contro la riforma della pubblica amministrazione del ministro Brunetta.
Roma, Milano e Napoli le principali città interessate, ma lo sciopero della scuola è nazionale.
La Cgil ritiene che quella di oggi sarà una delle più grandi mobilitazioni di quest'autunno e prevede l'adesione di almeno 100.000 persone solo nella capitale, dove il corteo partirà da piazza della Repubblica, per concludersi in piazza del Popolo con il comizio del segretario generale Epifani e i segretari di Fp-Cgil e Flc-Cgil, Podda e Pantaleo.
"Meno male che c'e' la Cgil, che ha un pensiero, una coerenza, una forza, una determinazione che dice al paese, ai lavoratori quello che bisognerebbe fare per uscire dalla crisi". Sostiene Epifani
Con lo sciopero di oggi si spera di riuscire ad ottenere il finanziamento sia per i contratti (aumento di 150 euro sui salari nel prossimo triennio) che per le risorse culturali: scuola, università e ricerca, letteralmente paralizzate dalla politica del governo.
Brunetta, dal canto suo, è convinto che l'adesione sarà minima (7-8%) e per il ministro del lavoro Sacconi lo sciopero della Cgil "non fa più molto notizia" ed è frutto "di una scelta di opposizione politica più che sindacale. Vedremo quanti aderiranno".
Vedremo anche noi se gli scioperi possono ancora essere un modo e un mezzo per far valere i propri diritti. Personalmente penso che ormai sia uno strumento troppo abusato e che non interessi davvero più a nessuno quante persone aderiscano o perchè si scenda in piazza. Gli unici che subiscono lo sciopero sono gli altri cittadini, ma ai governanti non interessa affatto e continuano sulla loro linea politica, non saranno certo otto ore di disservizio a fermare i loro progetti. Nuovi secoli vogliono nuovi modi di protesta e non basterà una secessione della plebe sull'Aventino per far piegare i patrizi, se si vuole manifestare per i propri diritti dobbiamo usare altri mezzi. Hacker, blocchiamo i siti dei ministeri, paralizziamo i sistemi informatici, spammiamo nelle loro mail, inseriamo banner con le nostre proteste.
Insomma dobbiamo trovare nuove vie di comunicazione per farci sentire.
lunedì 7 dicembre 2009
La scuola è finita
Leggere i dati del dossier di Legambiente sui tagli all'istruzione è qualcosa di sconcertante.
La scuola è davvera finita, ridotta sempre più ai minimi termini. Aggregazione di istituti, chiusura dei plessi più piccoli e più di 36.000 docenti in meno tra il 2002 e il 2010.
Insegnanti e personale Ata sempre più precario, assunto, licenziato, senza alcun diritto.
Ovviamente, tutto questo, a fronte di un maggior numero di alunni.
La figura del docente, che dovrebbe essere importantissima, perchè ha un ruolo fondamentale nell'educazione e nello sviluppo dei giovani è sempre più squalificata. Non ci sono risorse per la formazione di insegnanti, nemmeno per quelli di sostegno, che necessitano di una specializzazione aggiuntiva per aiutare i più deboli. Chi vuole fare l'insegnante in questi anni in Italia, non deve solo avere la vocazione alla docenza, ma pure quella del martirio, perchè è impossibile lavorare bene in queste condizioni: classi di 30 alunni, spesso e volentieri con un gran numero di stranieri con poche o pochissime competenze linguistiche, ore staccate su cattedre di qua e di là, nessuna certezza del proprio lavoro e assenza di continuità didattica.
Precarie anche le strutture, molte scuole cadono letteralmente a pezzi, ma i soldi dal ministero non arrivano.
I fondi invece ci sono per le paritarie, che vedono aumentare i loro finanziamenti, ben al di sopra di quanto preveda la legge sulla parità scolastica, includendo anche incentivi per chi sceglie di mandare i propri figli in una di queste scuole.
Ovviamente si guarda sempre al guadagno, a discapito della qualità dell'istruzione che dovrebbe essere sempre l'obiettivo primario della politica scolastica.
Per i nostri ministri la scuola pubblica non è un investimento, ma un ramo secco che va tagliato, senza capire che una buona istruzione è una vera risorsa per il futuro e che quello che imparano oggi i giovani a scuola sono gli strumenti che useranno nella loro vita di domani.
Ma adesso a chi importa di garantire a questi ragazzi un'istruzione decente? A chi importa che tutti abbiano accesso ad una scuola libera e con gli stessi diritti, anche nel più sperduto paesino di montagna? A chi importa che gli insegnati sappiano e possano svolgere il loro mestiere in modo adeguato?
Purtroppo a nessuno.
La scuola è davvera finita, ridotta sempre più ai minimi termini. Aggregazione di istituti, chiusura dei plessi più piccoli e più di 36.000 docenti in meno tra il 2002 e il 2010.
Insegnanti e personale Ata sempre più precario, assunto, licenziato, senza alcun diritto.
Ovviamente, tutto questo, a fronte di un maggior numero di alunni.
La figura del docente, che dovrebbe essere importantissima, perchè ha un ruolo fondamentale nell'educazione e nello sviluppo dei giovani è sempre più squalificata. Non ci sono risorse per la formazione di insegnanti, nemmeno per quelli di sostegno, che necessitano di una specializzazione aggiuntiva per aiutare i più deboli. Chi vuole fare l'insegnante in questi anni in Italia, non deve solo avere la vocazione alla docenza, ma pure quella del martirio, perchè è impossibile lavorare bene in queste condizioni: classi di 30 alunni, spesso e volentieri con un gran numero di stranieri con poche o pochissime competenze linguistiche, ore staccate su cattedre di qua e di là, nessuna certezza del proprio lavoro e assenza di continuità didattica.
Precarie anche le strutture, molte scuole cadono letteralmente a pezzi, ma i soldi dal ministero non arrivano.
I fondi invece ci sono per le paritarie, che vedono aumentare i loro finanziamenti, ben al di sopra di quanto preveda la legge sulla parità scolastica, includendo anche incentivi per chi sceglie di mandare i propri figli in una di queste scuole.
Ovviamente si guarda sempre al guadagno, a discapito della qualità dell'istruzione che dovrebbe essere sempre l'obiettivo primario della politica scolastica.
Per i nostri ministri la scuola pubblica non è un investimento, ma un ramo secco che va tagliato, senza capire che una buona istruzione è una vera risorsa per il futuro e che quello che imparano oggi i giovani a scuola sono gli strumenti che useranno nella loro vita di domani.
Ma adesso a chi importa di garantire a questi ragazzi un'istruzione decente? A chi importa che tutti abbiano accesso ad una scuola libera e con gli stessi diritti, anche nel più sperduto paesino di montagna? A chi importa che gli insegnati sappiano e possano svolgere il loro mestiere in modo adeguato?
Purtroppo a nessuno.
mercoledì 2 dicembre 2009
25 anni dal disastro di Bhopal
A 25 anni da una delle più grandi tragedie industriali di tutti i tempi ancora si contano i danni.
25 anni fa un'esplosione nella fabbrica di pesticidi della Union Carbide a Bhopal in India fece fuoriuscire decine di tonnellate di isocinato di metile e miglialia di altri reagenti chimici, che innalzarono una pesante nube tossica sopra la città, penetrando nelle case, nei polmoni e bruciando gli occhi e gli organi interni della popolazione.
Nei giorni successivi al disastro i morti furono più di 10.000 e nei 20 anni successivi ne morirono altri 15.000.
Attualmente ci sono almeno 100.000 persone affette da malattie polmonari, oculari e del sangue croniche. La contaminazione delle falde acquifere costringe tutt'oggi migliaia di persone alla deformità e alla sterilità.
Bhopal ha fatto ancora più vittime di Cernobil.
La cosa più ingiusta è che i colpevoli del disastro ancora non sono stati puniti. Sebbene un tribunale indiano abbia chiamato in giudizio nel 1991 i dirigenti della Union Carbide, essi non si sono presentati in tribunale. Il governo indiano li ha dichiarati latitanti, chiedendone l'estradizione, ma dal 2004 il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha bocciato la richiesta.
Dal 2001, inoltre, la Union Carbide è passata sotto il controllo della Dow Chemical Company, che continua a negare ogni responsabilità dell'accaduto. E pensare che il disastro si poteva prevedere, perchè già due anni prima dell'esplosione l'azienda era stata avvertita della possibilità di fuga di sostanze chimiche, ma non si è fatto nulla per scongiurare l'evento, nè per proteggere la popolazione. Inoltre per giorni i dirigenti continuavano a dire che le sostanze fuoriscite altro non erano che gas dall'effetto lacrimogeno....e intanto la gente perdeva completamente la vista, o addirittura la vita.
Oggi gli attivisti di Bhopal continuano a chiedere giustizia, coadiuvati da Amnesty International (cercate "Cloud of Injustice" su www.amnesty.org) e da GreenPeace, ma si trovano dinanzi a grosse difficoltà, non solo per la continua negazione da parte della corporation di ogni colpa, ma anche perchè nel 1989 sono stati versati circa 470 milioni di dollari al governo indiano per far cessare ogni accusa nei confronti della Union Carbide. Una cifra che considerava colpite solo 3.000 persone. E il governo indiano non ha comunque disposto misure sufficienti per risollevare la città dal disastro. L'area non è mai stata adeguatamente risanata.
E le conseguenze si pagano ancora oggi, dopo 25 anni, non dimentichiamole.
25 anni fa un'esplosione nella fabbrica di pesticidi della Union Carbide a Bhopal in India fece fuoriuscire decine di tonnellate di isocinato di metile e miglialia di altri reagenti chimici, che innalzarono una pesante nube tossica sopra la città, penetrando nelle case, nei polmoni e bruciando gli occhi e gli organi interni della popolazione.
Nei giorni successivi al disastro i morti furono più di 10.000 e nei 20 anni successivi ne morirono altri 15.000.
Attualmente ci sono almeno 100.000 persone affette da malattie polmonari, oculari e del sangue croniche. La contaminazione delle falde acquifere costringe tutt'oggi migliaia di persone alla deformità e alla sterilità.

La cosa più ingiusta è che i colpevoli del disastro ancora non sono stati puniti. Sebbene un tribunale indiano abbia chiamato in giudizio nel 1991 i dirigenti della Union Carbide, essi non si sono presentati in tribunale. Il governo indiano li ha dichiarati latitanti, chiedendone l'estradizione, ma dal 2004 il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha bocciato la richiesta.
Dal 2001, inoltre, la Union Carbide è passata sotto il controllo della Dow Chemical Company, che continua a negare ogni responsabilità dell'accaduto. E pensare che il disastro si poteva prevedere, perchè già due anni prima dell'esplosione l'azienda era stata avvertita della possibilità di fuga di sostanze chimiche, ma non si è fatto nulla per scongiurare l'evento, nè per proteggere la popolazione. Inoltre per giorni i dirigenti continuavano a dire che le sostanze fuoriscite altro non erano che gas dall'effetto lacrimogeno....e intanto la gente perdeva completamente la vista, o addirittura la vita.
Oggi gli attivisti di Bhopal continuano a chiedere giustizia, coadiuvati da Amnesty International (cercate "Cloud of Injustice" su www.amnesty.org) e da GreenPeace, ma si trovano dinanzi a grosse difficoltà, non solo per la continua negazione da parte della corporation di ogni colpa, ma anche perchè nel 1989 sono stati versati circa 470 milioni di dollari al governo indiano per far cessare ogni accusa nei confronti della Union Carbide. Una cifra che considerava colpite solo 3.000 persone. E il governo indiano non ha comunque disposto misure sufficienti per risollevare la città dal disastro. L'area non è mai stata adeguatamente risanata.
E le conseguenze si pagano ancora oggi, dopo 25 anni, non dimentichiamole.
martedì 1 dicembre 2009
Disoccupazione: cresce all'8%

Un tasso che non si registrava dal novembre 2004, e che, secondo i dati Istat è in crescita: +2% rispetto a settembre e +13,4% rispetto a ottobre 2008.
Sconcertano anche i dati sulla disoccupazione giovanile che ha raggiunto ben il 26,9% .
Ma l'Istat rassicura dicendo che la crescita della dissocupazione va in parallelo con la tendenza a cercare lavoro e che aumenta proprio a fronte di un'occupazione stabile.
Anche il ministro Scajola commenta i dati, dicendo che sono comunque migliori delle medie dell'UE e che gli effetti della crisi economica si stanno riversando proprio sulla disoccupazione, sperando che con la ripresa ci si possa risollevare.
E intanto non si fa nulla per migliorare la situazione, si parla di trans, di mafia, di gialli e di gossip, ma dei disoccupati e dei precari non ne parla mai nessuno.
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